La Liturgia dell’Avvento è caratterizzata dell’invito particolare “alla gioia” che accompagna interamente questo tempo: noi attendiamo Cristo, Signore della Storia, che alla fine del tempo verrà nella gloria per renderci tutti pienamente partecipi del suo mistero di salvezza e, quindi di gioia! Ma nel tempo la nostra gioia è anche orientata alla continua venuta del nostro Salvatore in mezzo a noi, riconoscibile nella sua promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20) ed, in modo particolare, nell’Eucaristia, dove Egli è presente realmente in mezzo a noi. Egli realizza, inoltre, la Sua presenza in mezzo a noi attraverso la presenza del fratello affamato, assetato, forestiero, nudo, ammalato, o in carcere ecc., che ogni giorno incontriamo sulla nostra strada, poiché Egli ci insegna: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (cfr. Mt 25,31-46).
Tuttavia, nel mistero del Natale, che la Liturgia ci dona di celebrare, preparandoci in questo tempo, la “Gioia” vera ed unica si rende visibile nel Bambino di Betlemme, scatenando nei nostri cuori una letizia particolareggiata che, a livello affettivo, nessun tempo riesce a trasmetterci. Preparandoci, pertanto, a celebrare il mistero dell’Incarnazione, vogliamo aprire, anzi “Spalancare” i nostri cuori a Cristo che viene. Per far ciò, come ci siamo detti all’inizio di questo messaggio, vogliamo farci aiutare da un brano della Lettera ai Filippesi dell’Apostolo Paolo, brano che la Liturgia ci presenterà nella prossima Terza Domenica di Avvento. «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù» (Fil 4,4-7). L’invito alla gioia come pure il comando «Non angustiatevi per nulla», trovano per Paolo il loro fondamento nel fatto che «il Signore è vicino». “Signore” indica qui non solo Dio, ma Gesù, perché è in lui che Dio si avvicina all’umanità. La lettera ai Filippesi mostra come la speranza del cristiano sia diversa dalla speranza di chi ostinatamente si impone di essere ottimista.
Essa non si fonda su un sentimento di volontà personale, su una disposizione interiore all’ottimismo, ma sulla persona di Gesù che è garanzia dell’attesa per il futuro. Tre parole esprimono qui il risvolto personale e comunitario della speranza: gioia, fiducia, pace. La gioia deriva dal fatto di vivere in comunione con Gesù e con gli altri. Chi afferma ciò non è un gaudente, ma un apostolo sofferente, in catene, che sollecita ripetutamente i Filippesi a gioire.
La fiducia: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti…».
Abbandonarsi a Dio non è cosa indegna dell’uomo, non è un rifugio in un mondo irreale, ma fa parte della vera sapienza, perché «il Signore veglia sul cammino dei giusti» (1 Sam 2,9). La pace: è il risultato di quanto precede. Come si vede dalle poche parole di Paolo, la pace non è assenza di preoccupazioni, ma frutto della potenza di Dio che custodisce il cuore e i pensieri dei credenti in Cristo Gesù, il che è ben diverso dal semplice “non avere pensieri”. La pace vera non è superficiale, ma afferra l’uomo là dove lui decide di se stesso, nella mente e nel cuore, perché così anche le sue azioni e relazioni saranno azioni e relazioni di pace.