La festa di Tutti i santi celebra quanti ora vivono felici con Dio, la “moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua” cui accenna la seconda lettura (Apocalisse capitolo 7), costituita da coloro che, abbiano o no una festa propria, la Chiesa ha riconosciuto appunto come santi, e con loro i molti, molti di più noti soltanto a Dio. Di certo Egli ha chiamato a sé chissà quante persone “normali” — padri e madri di famiglia, preti e frati, suore e laici nubili o celibi – che agli occhi del mondo non manifestavano nulla di particolare, ma agli occhi di Dio hanno improntato la loro vita ai due comandamenti del vangelo della scorsa domenica, cioè l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. Magari non l’hanno fatto sempre al meglio delle loro possibilità; ma soltanto Dio è perfetto: l’importante è che, se sbagli (diciamo pure peccati) hanno commesso, l’abbiano riconosciuto chiedendone perdono a Dio, per poi riprendere una vita in armonia con lui. Santi a noi sconosciuti: e tra loro è lecito immaginare siano anche persone a noi care, che ci hanno amato e delle quali abbiamo sperimentato meriti e qualità.
Limitandoci ai santi certi, perché proclamati tali da chi aveva l’autorità per farlo, oggi possiamo guardare a loro per trarne qualche insegnamento. Essi manifestano sia la bontà di Dio, che chiama gli uomini a condividere la sua stessa vita, sia la sua giustizia, che non fa differenze di persone: mentre nel mondo terreno si raggiunge l’eccellenza a motivo della fama, della nobiltà di sangue, del censo e qualche volta di un’intelligenza superiore, i santi sono l’eccellenza della Chiesa, misurata con tutt’altro metro: vi troviamo infatti ricchi e poveri, uomini e donne di ogni età, colti e illetterati: segno, tra l’altro, che la santità non è un miraggio o un privilegio per pochi, ma è possibile a tutti. Il fatto poi che la santità non fa differenze di razze e nazionalità, manifesta l’originaria volontà di Dio, relativa all’unità della famiglia umana: bianchi neri o gialli che siano, gli uomini sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio, e come tali tutti e ciascuno di loro si trova aperta nella vita la porta d’accesso al suo Creatore, vale a dire la prospettiva della santità.
Altro insegnamento dalla celebrazione di Tutti i santi, è che come ogni altra festa ricorrente nel corso dell’anno anche questa è primariamente festa “del Signore”, e per questo la celebriamo anzitutto con la Messa, nel corso della quale diciamo esplicitamente, rivolgendoci a Dio con il Gloria, “Tu solo sei santo”, e più avanti lo proclamiamo tre volte santo cioè santissimo, e dopo la consacrazione ci rivolgiamo a Lui come “Padre veramente santo, fonte di ogni santità”.
Lui è “il” santo; gli uomini e donne che noi diciamo santi sono tali perché per la sua bontà egli concede loro di partecipare alla sua santità. Si partecipa già in questa vita, se ci si impegna a trascorrerla nella sua grazia, in attesa della partecipazione piena e definitiva nella vita ventura. Se ne deduce che il senso della vita presente è l’aspirazione ad essere definitivamente santi. Se ci si chiede come si fa a diventarlo, ecco il vangelo di oggi (Matteo 5,1-12), la celebre pagina delle Beatitudini. Sono beati già subito, e definitivamente nella vita ventura, i poveri in spirito, che non basano la propria vita sulle ricchezze, sul potere o altri privilegi. Beati gli afflitti, se pongono le loro speranze in Dio. Beati i miti, cioè i non-violenti, né con la forza fisica né con la forza delle parole. Beati “quelli che hanno fame e sete della giustizia”, cioè sono protesi a fare ciò che è giusto davanti a Dio. Beati i misericordiosi, cioè quanti sanno essere comprensivi e non vendicativi. Beati i puri di cuore, cioè quanti non tramano in segreto contro il prossimo. Beati gli operatori di pace, cioè quanti si impegnano a mettere pace laddove possono arrivare, in casa propria e fuori. Beati i perseguitati per aver fatto ciò che è giusto davanti a Dio, perché Dio li compenserà.
Mons. Roberto Brunelli