La chiesa “Regina Pacis” è l’ultimo tassello di una storia che comincia al di là della ferrovia, che a quei tempi evidentemente non esisteva, e quasi al di là dei secoli, visto che la chiesa storica, ancora dedicata a S.Vincenzo martire, viene ricordata già nel 753. Riprogettata dall’ing. Costa nel 1834-37, si è trovata in una posizione defilata prima per la costruzione della ferrovia nel 1859, e poi per lo sviluppo urbanistico e l’espansione demografica nella seconda parte del 1900 che ha riguardato la zona a sud della ferrovia. Ma è opportuno ricordarla ricordata perché è stata:
- Luogo di presenza nella zona a est della città di Modena per tanti secoli;
- Punto di riferimento per la gente della campagna (la plebs, da cui il titolo di “Chiesa plebana”);
- Luogo di incontro, posto su direttrici diverse: nord-sud, lungo strada Montanara, collegamento tra Abbazia di Nonantola e Abbazia di Fanano, entrambe fondate da S. Anselmo; e est-ovest, lungo uno dei passaggi verso Bologna per chi usciva da Porta Saliceto, poi Porta Bologna
Lo sviluppo demografico ed urbanistico a sud della ferrovia nella seconda parte del 1900 crea un nuovo quartiere della città, oggi abitato da più di 8000 persone, che abitualmente viene chiamato Modena est.
- Passando per alcuni luoghi di fortuna per le celebrazioni, con la costruzione della prima sede provvisoria, in uso dal 1984, la nuova realtà parrocchiale prende il nome di Regina Pacis.
- All’inizio degli anni ’90 la comunità decide di avviare la progettazione e la realizzazione per stralci successivi del centro parrocchiale definitivo, scegliendo, tra altre, la proposta dell’arch. Paolo Sorzia.
- Tra il 1999 e il 2001 si realizzano le opere parrocchiali, che comprendono anche una Casa della Carità.
- La nuova chiesa, iniziata a fine marzo 2017, viene consacrata da mons. Erio Castellucci il 15 settembre 2019, esattamente vent’anni dopo l’inizio del primo cantiere.
Il progetto della chiesa Regina Pacis in Modena riprende ed attualizza l’immagine della tenda biblica come luogo d’incontro nel deserto del popolo di Dio.
Su simboliche tracce, in pietra naturale, di antiche fondazioni è costruita la nuova tenda, che esternamente appare costituita da una successione di teli curvi che non si sovrappongono, lasciando aperture laterali, e che sono trattenuti a terra da tiranti inclinati caratteristici nella posa delle tende.
I due teli laterali all’ingresso si allargano dall’alto al basso, scoprendo la grande porta in legno contornata da un portale in pietra che esalta le parole di Gesù “Io sono la porta”.
Segno concreto del fluire delle diverse attività della comunità che hanno come apice il momento della preghiera è la presenza della pensilina, un percorso protetto che “lega” le sedi delle attività catechistiche, caritative e ricreative alla chiesa, fino a fondersi con essa attraverso il morbido movimento ascendente della copertura del battistero.
Entrando in chiesa, a destra e a sinistra, si celebrano così i sacramenti di rinnovamento spirituale, il Battesimo e la Riconciliazione, poi le due pareti curve della chiesa si aprono a raffigurare le braccia dei fedeli in preghiera rivolte all’altare e, corrispondentemente, dall’altare si allargano verso i fedeli due più ampie pareti o braccia ad accogliere la preghiera. Si definisce in questo modo lo spazio liturgico dell’aula come luogo d’incontro con il Signore.
L’incontro avviene nella luce di grandi aperture che vogliono favorire l’ingresso in chiesa non più solo del popolo eletto, ma di tutto il mondo esterno e trasmettere fuori il messaggio evangelico dell’incontro del Signore con gli uomini e le donne: tutte le aperture presenti nella chiesa hanno quindi sempre una duplice funzione.
Anche quelle in copertura, che tagliano i teli e si riflettono sul disegno del pavimento, oltre ad evidenziare il collegamento teologico tra battistero, altare, ambone e tabernacolo permettono anche di avere immediatamente un rapporto visivo con l’Alto.
Ugualmente dicasi per la continuità del tabernacolo, posto in zona baricentrica tra l’assemblea e la cappella, con l’esterno attraverso la sua continuità con il campanile, che, con il movimento a spirale dei suoi nastri, ci porta verso il cielo ed in senso contrario porta il Cielo in Terra.
La realizzazione architettonica della chiesa attua l’indicazione conciliare del prologo del Vangelo di Giovanni “il Verbo si è fatto carne ed ha posto la sua tenda in mezzo a noi” e la sollecitazione di Papa Francesco di costruire una chiesa “in uscita”, aperta sul sagrato che è vero ponte tra la tenda e la strada come è sempre stato in questa parrocchia ed in questo quartiere.
All’insieme architettonico si affianca, e lo completa arricchendolo, l’insieme iconografico.
Ogni elemento liturgico è visibile sin dalla porta d’ingresso e ciascuno di esso presenta un simbolo che richiama un episodio biblico o evangelico.
Il tutto viene espresso attraverso il tema del velo, simbolo del mistero divino che si dischiude allo sguardo del fedele e di chiunque entra nell’edificio animato dal desiderio di vedere Dio.
Così i colori, le forme gli spazi contribuiscono a creare un clima di serenità e pacatezza come di chi trova pace incontrando Dio.
Il tema del velo viene ripreso e sviluppato sul paliotto dell’altare nella forma del grembiule e della stola che avvolgono il catino dell’acqua, simboli dell’amore che si fa servizio, con cui l’evangelista Giovanni interpreta la cena eucaristica (cf. Gv 13, 1-21).
Tali simboli poggiano su un piano trasversale che scende dall’alto come a voler attraversare tutta la storia, lungo la quale si distende l’amore oblativo di Cristo.
La stessa pianta dell’altare a forma di croce, rimanda a questo servizio, come per dire che ogni dono d’amore non è mai senza sacrificio.
Il tema del velo è richiamato anche dal sudario presente sulla parte anteriore dell’ambone, concepito come il sepolcro nel quale è stato riposto Cristo, dopo la deposizione dalla croce. Il lettore che si reca a proclamare la Parola rievoca i discepoli che giunti sul luogo della sepoltura, si fanno testimoni del primo annuncio del Risorto. Tuttavia non basta recarsi al sepolcro per vedere il Risorto, occorre entrarvi dentro, ovvero partecipare della sofferenza di Cristo.
L’intera assemblea, attraverso il lettore, viene invitata a ripercorrere lo stesso cammino di fede dei discepoli: come loro entrare nei luoghi della sofferenza per vedere e credere, secondo la metodologia giovannea, attraverso i segni della passione, ovvero le bende e il sudario (cf. Gv 20, 1-10). Quest’ultimo inoltre poggia con un lembo sul gradino del presbiterio, come a voler dire la continuità dell’evento della risurrezione nell’oggi della fede ecclesiale, rivissuta attraverso il sacrificio eucaristico.
Anche la stola che avvolge la sede del celebrante richiama a suo modo il tema. La sua presenza sulla spalliera ha la funzione di richiamare costantemente alla memoria che la sede non è simbolo del potere e di dominio, ma di servizio.
Essa è posta all’altezza del capo a mo’ di corona, intesa come l’unico elemento di cui il celebrante è chiamato a rivestirsi.
Il tema del velo caratterizza anche il tabernacolo dove, ancora più che in altri luoghi liturgici, il mistero è più evidente che mai. Tale disposizione ha un evidente richiamo alla tradizione iconografica, secondo la quale le mani degli angeli che reggono la coppa nella quale era posto il sangue di Cristo crocifisso, erano avvolte da un velo. Tale panno ha un significato liturgico: dice il rispetto per il mistero che non può essere posseduto e preso con le mani nude; in contrapposizione al gesto di Eva che pretese di possedere la vita, prendendo il frutto dall’albero della conoscenza del bene e del male. Anche il tabernacolo, come il fonte battesimale, dispone di un percorso pavimentale che lo collega direttamente al presbiterio. Tre luoghi liturgici che si richiamano a vicenda. Inoltre il tabernacolo presenta una struttura a torre ottagonale irregolare che continua il movimento ellittico da cui ha origine la spirale del campanile.
Lo stesso fonte battesimale sviluppa il tema col simbolo della veste bianca che il catecumeno è chiamato ad indossare subito dopo il battesimo, rito col quale viene introdotto nella nuova vita in Cristo, visibilmente espressa da vita ecclesiale della comunità parrocchiale. Posto a destra dell’entrata della chiesa il fonte dispone di uno spazio e di un percorso pavimentale tutto proprio che traccia il cammino del catecumeno dall’ingresso della chiesa fino all’area presbiterale, con la quale ha evidenti richiami, non solo a livello teologico, ma anche stilistico. Con l’altare infatti condivide la base a forma crucifera, per dire che comincia per lui un cammino di spogliazione dell’io attraverso la partecipazione alla passione e redenzione di Cristo che deve perpetuarsi fino alla comunione col suo corpo eucaristico. La forma circolare della vasca allude invece alla vita perfetta in Cristo. Con l’ambone condivide invece il significato teologico. Essere battezzati è come scendere con Cristo nel sepolcro e quindi negli inferi, simbolicamente espressi dai gradini che circondano la base ottagonale del fonte, simbolo del mondo in attesa della redenzione. Battesimo ed eucaristia si richiamano a vicenda: come Cristo sull’altare anche al catecumeno, nelle acque del battesimo, viene chiesto di morire a se stesso.
La speranza della nuova vita conferita da Cristo viene ulteriormente resa dal colore verde-acqua della parete di fondo che conferisce all’insieme un clima di serenità spirituale.
La spirale che caratterizza il movimento del tabernacolo e del campanile viene richiamata anche dal movimento rotatorio del corpo del Crocifisso, ed in particolare dal movimento a spirale che si origina nell’ombelico e perpetuato dal perizoma.
Tale movimento allude al centro vitale della nostra galassia e dell’universo di cui Cristo è principio e fine. Anche la disposizione del corpo del Cristo, in perpendicolare all’altare che sembra alludere al sepolcro dà, a chi entra dall’ingresso principale della chiesa, la sensazione dell’Ascensione di Cristo al Cielo, come a voler evidenziare con questo movimento ascensionale il fine escatologico di Dio, verso il quale il mondo è orientato da Cristo. La forma inconsueta della croce contribuisce a conferire all’insieme movimento e slancio verso l’alto. Essa infatti è del tutto staccata dal corpo di Cristo, come a dire la sua definitiva vittoria su di essa.
Il corpo di Cristo si articola con movimenti che vanno dalla disposizione asimmetrica delle braccia alla torsione del tronco.
Tutto aderisce al movimento della croce come al disegno di Dio.
Anche le mani contribuiscono ad esprimere il significato redentivo del sacrificio di Cristo: mentre con la sinistra sembra avvolgere ogni uomo che si pone sotto la sua custodia, con la destra elargisce la misericordia del Padre col segno della benedizione.
Ogni gesto sembra guidato dallo Spirito, nel quale Cristo ripone tutto se stesso, fino a consegnarlo nell’ultimo respiro.
La posizione del capo reclinato verso il basso ritrae Cristo nel momento in cui consegna lo Spirito di vita al Padre.
Più che morto tuttavia egli sembra addormentarsi in Dio, in attesa di essere da lui risvegliato, in forza del suo Spirito.
La posizione del capo e l’espressione di serena fiducia del volto rimandano ai momenti principali della passione, morte e risurrezione.
Da un lato i capelli sconvolti rievocano il volto sfigurato del Servo sofferente di cui parla Isaia nei suoi carmi e dall’altro l’acconciatura ordinata rimanda al volto più bello dei figli dell’uomo.
Nell’immagine titolare della Madonna Regina Pacis il tema del velotrovala sua più chiara rappresentazione iconografica.
Tutta la scena è stata pensata come interposta dal velo che vela e svela al contempo il mistero dell’Incarnazione del Verbo che si rende visibile nel Cristo, attraverso la maternità verginale di Maria. Esso lascia intravedere ciò che è oltre la realtà tangibile permettendo di gettare uno sguardo nel mistero; al contempo il mistero si dischiude nella forma del Verbo che s’incarna e si fa storia.
È in questa profonda condivisione che Dio fa della sua vita nella forma del Figlio all’uomo che viene esplicitato il significato del titolo mariano: Regina Pacis.
Cos’è infatti il dono del Figlio se non la pace, ovvero la definitiva riconciliazione tra l’uomo e Dio, quella che dà senso e pone fine ad ogni inquietudine morale ed esistenziale e che Dio comunica a traverso Maria?
Per evidenziare questo dono Maria viene colta nell’atto in cui dispone le mani a mo’ di scala, come a voler permettere al Figlio di Dio di scendere tra gli uomini, mentre lei stessa è nell’atto di salire dei gradini. Come non vedere in questo dinamismo l’episodio della Scala di Giacobbe e soprattutto il duplice movimento discendente di Dio e ascendente dell’uomo, nella via della kenosi e della divinizzazione.
Il Bambino Gesù è rappresentato in abiti sacerdotali, con la stola del servizio sulle spalle e il rotolo della Parola nella mano sinistra, mentre con la destra apre il mantello di Maria, come a voler rivelare il mistero di Dio, che si dischiude nella storia attraverso Maria. Attraverso un gioco di pieghe del velo il corpo del Bambino diventa un tutt’uno con quello della Madre, come a volere sottolineare l’unità tra Cristo e la sua Chiesa.
Quella di Gesù è dunque una missione sacerdotale oltre che rivelativa. La stola sulle spalle infatti si perde come un fiume carsico, per riapparire sul braccio sinistro di Maria, come a riconoscerle la dimensione del sacerdozio regale con cui ha vissuto la sua vita. Un linguaggio questo del nascondimento per dire il modo con cui va vissuto il sacerdozio regale e ministeriale.
Il rotolo che Gesù tiene nella mano sinistra presenta la parte inferiore come una base a forma di calice. Si tratta del calice della passione, che Gesù beve fino in fondo per comunicare l’amore redentivo del Padre. Dal calice s’origina il velo che evidenzia il mistero con cui si compie la redenzione dell’uomo. Esso ha come la forma dell’acqua che scorre abbondante dal cuore di Dio, come un fiume d’acqua viva e che si riversa sull’uomo e sul mondo dal seno di Maria sua Madre.
Chiesa REGINA PACIS
Consacrazione: 15 settembre 2019
Progetto architettonico: arch. Paolo Sorzia e Donata Morselli
Progetto strutture: ing. Massimiliano Misale
Progetto artistico: don Luigi Razzano