È passata solamente una settimana da quando abbiamo contemplato il sogno di Giuseppe: un sogno nel quale gli è toccato di comprendere che di fronte ai progetti di Dio non bisogna macchinare pensieri o preparare progetti alternativi. Bisogna solamente meravigliarsi, accettare con stupore che la sua Grazia trascenda, superi la nostra Natura e le nostre sia pur legittime aspirazioni, e attraverso questa capacità di stupirsi giungere a contemplare la salvezza di Dio. “I sogni ci salveranno”, avevamo detto terminando la nostra riflessione di domenica scorsa: ed effettivamente, quanto sognato da Giuseppe, in questa settimana si è compiuto, lo stiamo ancora contemplando nel mistero del Natale.
Ecco ora un altro sogno di Giuseppe: anzi, tre diversi sogni nell’arco di pochi versetti, costruiti intorno a qualcosa che è l’esatta antitesi dei sogni, ovvero la ferocia inaudita e abominevole della cosiddetta “strage degli Innocenti”, che nel Vangelo di oggi non ci viene narrata, forse per pudore, forse perché già in settimana abbiamo onorato la memoria di questi Santi, tanto martiri quanto ignari di esserlo. La cruda realtà della malvagità umana, dell’aberrazione di ogni forma di coscienza, sembra davvero quadrare ben poco con quella costante capacità di meraviglia e di stupore per il mistero che i sogni di Giuseppe portano con sé. Eppure, anche in mezzo al dramma di salvare il proprio figlio da una carneficina inutile ed esecrabile, Giuseppe sogna. Sogna una fuga, sogna un ritorno, sogna un cambio di prospettiva.
La fuga di Giuseppe in Egitto con Maria e il Bambino è il sogno di una libertà che esiste solo “oltre”: oltre la cattiveria umana che impedisce ogni anelito di vita. E per sognare la libertà, non è sufficiente “evadere” di poco, cambiare un po’ aria: per “evadere” con la mente, sono sufficienti altri modi, oggi molto diffusi, meno sani ma di certo più immediati di una fuga all’estero. Per sognare “oltre” occorre anche andare fisicamente “oltre”: oltre il deserto, oltre il Mar Rosso, oltre quella Babele delle genti che faceva di ebrei ed egiziani due popoli in continua contrapposizione. Giunti in Egitto, un altro sogno spinge Giuseppe a tornare, perché chi cercava di eliminare il Bambino, non c’è più, i potenti sono morti (che sogno…), e allora si può tornare a ricostruire una vita, là dove il Bambino era nato e aveva iniziato a muovere i primi passi verso la vita. Invece no, i potenti non sono morti, ce n’è sempre uno, hanno sempre un figlio dopo l’altro, e allora il Figlio umile del Re più potente viene portato via, un’altra volta in sogno, là dove Giuseppe aveva iniziato a sognare, a Nazareth, là dove Maria aveva iniziato a credere.
Non più Figlio di Davide, nato e vissuto a Betlemme ma “Nazareno”, “Galileo”, agitatore di folle, rivoluzionario, un po’ straniero, diverso, “extracomunitario”, diremmo oggi. Niente di più vero, perché oggi Giuseppe e Maria non sarebbero in perenne viaggio in sella a un asinello, come bucolicamente ce li ricordiamo, con gli angeli che allietano le loro pause suonando e cantando lodi celestiali (così l’iconografia rinascimentale). Giuseppe oggi per sé, per la sua sposa e per il suo bambino, sogna la libertà – ancora una volta – oltremare, oltre il deserto del nulla della propria terra, e oltre la malvagità dei signori della guerra che cercano di uccidere le speranze dei popoli. E vanno in cerca di questa speranza nelle terre d’oltremare, dove regnano altri signori (alleati economicamente con quei signori della guerra) che prima li attirano a sé, e poi cercheranno di espellerli, in ogni modo e in ogni forma, con la legge o senza la legge, incuranti del fatto che hanno attraversato un deserto ostile e un mare che è ancora, sì, “Mar Rosso”, ma del sangue dei loro fratelli naufragati (una nuova strage degli Innocenti): e questo mare li beffa’, chiamandosi “Mare Nostrum”. Ma il sogno non si ferma: la terra d’oltremare c’è, Giuseppe con Maria e il Bambino la raggiungono. Altre famiglie non ce la faranno mai. Un po’ di ospitalità la trovano, ad accoglierli trovano anche tante telecamere e obiettivi, qualche uomo in divisa un po’ burbero e un po’ angelo, qualche politico che li usa come passerella propagandistica, qualche operatore che li disinfetta dalla scabbia, e qualcuno che gli rinnova la speranza di trovare pane per i loro denti, casa e lavoro. Un giorno terminerà anche la potenza dei signori della guerra, e allora Giuseppe con Maria e il Bambino torneranno, forse non più nel loro paese, forse là dove i signori della guerra sono spariti per davvero, forse dove il bambino crescerà in maniera diversa da come egli aveva pensato, ma perlomeno crescerà. E un giorno, forse, anche lui tornerà a sognare che c’è una terra oltremare dove poter sfuggire a quei signori della guerra che si rigenerano in continuazione. Le molte famiglie di Nazareth che ancora oggi solcano deserti e mari per giungere qua, dove a loro pare che si stia meglio, non possono rimanerci indifferenti. Ci interpellano, ci chiedono una mano, la stessa mano che a noi è stata tesa anni fa – perché la storia, alla fine, ci restituisce tutto – quando abbiamo solcato mari e monti in cerca di un lavoro degno e di una terra da lavorare, quella terra e quel lavoro che anche a noi i signori della guerra, padri di quelli attuali, avevano tolto in nome di un grande sogno che non venne mai. Maria, sposa di Giuseppe, lo sa bene: “Ha rovesciato i potenti dai torni, ha innalzato gli umili”. I sogni dei potenti sono stati frantumati dalla storia; il sogno degli umili continua.
Don Alberto Brignoli