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Gesù entra a Gerusalemme, non solo un evento storico, ma una parabola in azione. Di più: una trappola d’amore perché la città lo accolga, perché io lo accolga. Dio corteggia la sua città, in molti modi. Viene come un re bisognoso, così povero da non possedere neanche la più povera bestia da soma. Un Dio umile che non si impone, non schiaccia, non fa paura. «A un Dio umile non ci si abitua mai» (papa Francesco).

Il Signore ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito. Ha bisogno di quel puledro d’asino, di me, ma non mi ruberà la vita; la libera, invece, e la fa diventare il meglio di ciò che può diventare. Aprirà in me spazi al volo e al sogno.

E allora: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. È straordinario poter dire: Dio viene. In questo paese, per queste strade, in ogni casa che sa di pane e di abbracci, Dio viene, eternamente incamminato, viaggiatore dei millenni e dei cuori. E non sta lontano.

La Settimana Santa dispiega, a uno a uno, i giorni del nostro destino; ci vengono incontro lentamente, ognuno generoso di segni, di simboli, di luce. La cosa più bella da fare per viverli bene è stare accanto alla santità profondissima delle lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. Stare accanto, con un gesto di cura, una battaglia per la giustizia, una speranza silenziosa e testarda come il battito del cuore, una lacrima raccolta da un volto.

Gesù entra nella morte perché là è risucchiato ogni figlio della terra. Sale sulla croce per essere con me e come me, perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all’uomo che è in croce. Perché l’amore conosce molti doveri, ma il primo è di essere con l’amato, stringersi a lui, stringerlo in sé, per poi trascinarlo in alto, fuori dalla morte. Solo la croce toglie ogni dubbio. Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. La croce è l’abisso dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa.

L’ha capito per primo un pagano, un centurione esperto di morte: costui era figlio di Dio. Che cosa l’ha conquistato? Non ci sono miracoli, non risurrezioni, solo un uomo appeso nudo nel vento. Ha visto il capovolgimento del mondo, dove la vittoria è sempre stata del più forte, del più armato, del più spietato. Ha visto il supremo potere di Dio che è quello di dare la vita anche a chi dà la morte; il potere di servire non di asservire; di vincere la violenza, ma prendendola su di sé. Ha visto, sulla collina, che questo mondo porta un altro mondo nel grembo. E il Crocifisso ne possiede la chiave.

padre Ermes Ronchi

Guardare la croce con gli occhi del centurione