Questo è uno di quei brani del Vangelo che vanno letti sottovoce, letti e riletti per gustarne tutta la bellezza e lasciarsi sorprendere dalla inattesa novità delle parole di Gesù.
Il pastore è descritto con cinque caratteristiche: entra per la porta, chiama per nome le pecore, le conduce fuori, cammina davanti a loro e dà vita in abbondanza. È bello pensare a un Dio così, un Dio che non si nasconde, che ci conosce uno a uno, che ci vuole liberi e veri, che ci accompagna e cammina con noi per regalarci bellezza e felicità.
Mentre le pecore sono descritte con tre caratteristiche: riconoscono e ascoltano la voce del pastore e lo seguono. È una definizione molto bella di come dovrebbe essere un discepolo. Gesù ci vuole così: allenati a riconoscere la sua Parola tra le mille assordanti grida che ci stordiscono e pronti seguire i suoi passi. Ovunque.
E poi c’è il ladro che ruba, immola e distrugge. Il nemico è sempre all’opera: ruba la parola seminata nei nostri cuori, immola e distrugge con la forza tremenda della paura e la tentazione viscida dell’orgoglio.
In pochi versetti troviamo una sintesi bellissima dell’esperienza cristiana, ma l’immagine che sta al centro del nostro brano è quella della porta.
Le pecore stanno nel recinto di notte, ma quando sorge il sole devono uscire. Gesù ha detto “Io sono la luce del mondo” (Gv 8, 12), lui è il sole che brilla nell’oscurità della notte.
Lui è la porta attraverso la quale possiamo uscire dalle tenebre della schiavitù verso la luce della vita.
Lui è la porta tra cielo e terra, la porta innalzata sul calvario con il legno della croce, la porta per uscire dalla schiavitù e scappare dalla prigionia dei falsi pastori, la porta sempre aperta della misericordia, del perdono, dell’amore.
No, non bussare. Quella porta è sempre aperta. Lui ti sta aspettando.
don Roberto Seregni