LETTERA ALLA CITTÀ 2022 DEL VESCOVO ERIO
«Ci siamo persi la primavera», ha scritto nei giorni scorsi una ragazza diciassettenne, riflettendo sul lockdown di due anni fa. Poi ha proseguito, con una nota di amarezza: «ed è ancora inverno». Ancora nel tunnel della pandemia, stiamo per perderci la terza primavera. Ma una cosa è perdere delle primavere dopo averne vissute decine, come nel mio caso e in quello di altri adulti e anziani, un’altra è perderle nella giovinezza. Cos’è l’adolescenza senza le corse libere, le feste a casa degli amici, le attività di gruppo, lo sport, gli abbracci? Quali segni lascerà nell’animo dei giovani un tempo così lungo di limitazioni, incontri sospesi, relazioni monche? Un altro diciassettenne ha scritto: «non ci sono più volti, solo mascherine: ci vediamo a metà». Il senso di incompletezza pervade ormai la nostra vita: tutto appare dimezzato e ristretto, comprese le stagioni. Ritroveremo la primavera?
Il “fenomeno giovanile” I giovani, gli stessi dai quali si leva il grido silenzioso che denuncia la grave crisi in atto, ci aiuteranno a ritrovare la primavera.
Non sono un sognatore e cerco di guardare anche al di fuori del (presunto) recinto dorato dei ragazzi delle parrocchie, piccola minoranza rispetto all’universo giovanile. Come tutti, cerco di informarmi e so quanti problemi, specialmente in questo tempo, affliggono gli adolescenti, affiorando in episodi di bullismo, violenza, autolesionismo, disimpegno. Le statistiche collocano oltre due milioni di giovani italiani nella situazione NEET (= Not in Education, Employment or Training), al di fuori cioè degli ambienti educativi e lavorativi, senza nemmeno la ricerca di un’istruzione o una professione. Ad essi vanno affiancati, nel nostro Paese, decine di migliaia di Hikikomori, una parola giapponese ormai entrata nel gergo diffuso, che indica lo “stare in disparte”: giovani che si chiudono in casa tagliando ogni rapporto con il mondo esterno, spesso anche con i loro familiari. La dispersione scolastica, che già prima della pandemia riguardava più di centomila alunni ogni anno, nonostante l’intensa attività delle istituzioni si è accentuata con la pandemia. E si potrebbe proseguire con la lista dei malesseri.
Ma non è necessario ricorrere alla sociologia per farsi un’idea della condizione giovanile; basta aprire un giornale qualsiasi, in un giorno qualsiasi di un mese e un anno qualsiasi. Per evitare di pescare nelle consuete cronache del tempo di pandemia, dove tutti i disagi – compreso quello dei ragazzi – risultano amplificati, ho sfogliato un vecchio quotidiano di cinque anni fa, alla data del 15 febbraio. Riporto semplicemente i titoli, tutti documentabili: Ragazzi suicidi, è allarme; Generazione friabile; Basta genitori amici dei figli; Giovane diciassettenne vittima del male oscuro; Sul social il video hot della sedicenne; Due ventenni accusati di violenza sessuale di gruppo; Adolescenti depressi; Lottiamo tutti contro il bullismo; Botte fuori dal liceo. E tutto questo, confermo, nello stesso giorno. È il famoso “disagio giovanile”, che diventa perfino dramma. Sembra la conferma della convinzione diffusa che “i giovani d’oggi” sono sbandati, poveri di valori, incapaci di impegno e di sacrificio, candidati a militare nelle baby-gang. “I giovani d’oggi”: tanto studiati, rimproverati, imputati, segnati a dito. Leggiamo cosa scrive di loro un grande intellettuale, dal linguaggio raffinato e leggermente fuori moda:
Ora i giovani sentono il bisogno di distinguersi, e non trovando altra strada aperta come una volta, consumano le forze della loro giovanezza, e studiano tutte le arti, e gettano la salute del corpo, e si abbreviano la vita, non tanto per l’amore del piacere, quanto per essere notati e invidiati e vantarsi di vittorie vergognose, che tuttavia il mondo ora applaude, non restando a un giovane altra maniera, di far valere il suo corpo, e procacciarsene lode, che questa.
Certo, sono così “i giovani d’oggi” … ma non stiamo parlando né dei Millennials né della Generazione Zeta; forse la parola “giovanezza” e il verbo “procacciarsi” fanno la spia: qui si tratta dei “giovani d’oggi” di due secoli fa; il brano è tratto dallo Zibaldone di pensieri di Giacomo Leopardi, alla data del 21 giugno 1820. Il poeta di Recanati del resto deplora più volte la condizione e la vita dei giovani del suo tempo, da lui ritenuti peggiori a confronto delle generazioni passate.
Continua….